Simon fled the restaurant heading straight for home. He had to go running. The trip by metro was too long; Simon would suffocate in Prague’s underground one of these days. Trying to block out the dirt, smell of urine, and ever-present people, he climbed the stairs, quickly reaching the open space and taking deep breaths. Up here in Dejvice, the air was almost chilly. He would take his car and drive out of the city to run in the woods. He needed the sense of solitary freedom.
He turned a corner, watching the familiar facades as if he saw them for the first time. Something didn’t add up. Something was different. Was it the weather? Sinister low gray clouds created a lid on the shaking pot of Prague’s inner city. Inversion. That was it. Simon hurried toward his home, breathing heavily. He crossed the street, dodging an angry driver in a polished black Audi. The driver honked, and Simon fought the urge to flip him off.
He was almost home when he saw it. The black bird with a red cap sat glued to the facade high above, next to the third-floor windows. A woodpecker? Here?
Simon stood frozen, staring up at the bird. The woodpecker looked around jerkily and did the unthinkable. It started hammering on the facade, digging a hole in the solid material. The sound echoed in the narrow street. Tap, tap, tap. The bird paused, inclining its tiny head to the side as if contemplating its efforts and then continued. Tap, tap, tap, tap.
Simon stood with his neck bent back, his mouth hanging open. He couldn’t take his eyes off the foolish bird that was doing its damnedest to excavate a hole in the building’s hard surface. Its tiny bird brain had to hurt.
And all Simon saw was himself—banging his head, face first into the stone. Tap. Tap. His job, his patients, his teaching. Tap, tap, tap. His family. Tap. Tap. His friends, his interests, his personal goals. Tap, tap, tap. His love. Tap, tap, tap, tap… The bird continued drilling as if its life depended on it. Tiny pieces of plaster fell down on the sidewalk.
In a wasteland made of stone and concrete, Simon couldn’t even dig himself a hole to crawl into.
Simon scappò dal ristorante avviandosi subito verso casa. Doveva assolutamente andare a correre. Il tragitto in metropolitana si rivelò, come sempre, troppo lungo; un giorno o l’altro avrebbe finito per soffocare in uno di quei vagoni. Tentando di resistere allo sporco, alla puzza d’urina e alla gente che lo pressava, salì le scale per raggiungere velocemente l’uscita, respirando a pieni polmoni. A Dejvice faceva quasi freddo. Avrebbe preso la macchina e sarebbe andato fuori città per fare una corsa nei boschi. Sentiva il bisogno di assaporare un senso di solitaria libertà.
Svoltò un angolo osservando le facciate familiari dei palazzi come se le vedesse per la prima volta. Qualcosa non andava. C’era un che di diverso nell’aria. Era forse il tempo? Delle nuvole grigie basse e sinistre creavano un coperchio sul calderone traballante del centro di Praga. Inversione. Ecco la risposta. Simon si affrettò verso casa, respirando affannosamente. Attraversò la strada, evitando un autista furioso in una scintillante Audi nera. L’uomo al volante suonò il clacson, e Simon dovette trattenersi dal mandarlo al diavolo.
Era quasi arrivato a casa quando finalmente lo vide. L’uccello nero con il capo rosso era appollaiato in alto, vicino alle finestre del terzo piano. Un picchio? In città?
Simon rimase immobile a fissare l’uccello. Il picchio si guardò intorno con movimenti a scatto e fece qualcosa d’impensabile. Cominciò a colpire la facciata con il becco scavando un buco nel materiale solido. Il rumore risuonò lungo la strada angusta. Tap, tap, tap. L’uccello si fermò inclinando la piccola testa da un lato per contemplare i propri sforzi prima di ricominciare. Tap, tap, tap, tap.
Simon continuò a fissarlo con il collo piegato all’indietro e la bocca spalancata. Non riusciva a distogliere lo sguardo da quello sciocco che stava facendo del suo meglio per scavare un buco nella dura superficie dell’edificio. Il suo piccolo cervello doveva senz’altro fargli male.
E Simon non poté fare altro che immaginare se stesso dare testate contro la pietra. Tap. Tap. Il suo lavoro, i suoi pazienti, il suo insegnamento. Tap, tap, tap. La sua famiglia. Tap, tap. I suoi amici, i suoi interessi, i suoi obiettivi personali. Tap, tap, tap. Il suo amore. Tap, tap, tap, tap… L’uccello continuò a beccare come se da quello dipendesse la sua stessa vita. Dei frammenti d’intonaco presero a cadere sul marciapiede.
In quella terra di nessuno fatta di pietra e cemento, Simon non era neanche capace di scavare un buco in cui trascinarsi.