Sometimes stories are all we have left.
We carry so many of them hidden in the cage of our bodies, written like secrets on the map of our skin. Most of us more scarred than tattooed: the walking wounded, afraid of how our story ends.
Some of us find comfort in the make-believe, as if the truth there is somehow easier to believe than our own. This, right now, isn’t make-believe, and I can’t handle the truth any longer. I can’t.
This story isn’t the one I want to be living. I want a different one, some other reality—some other life—to be mine.
Of course, I don’t tell Sam that.
When have I ever told him the truth?
When have I ever known the difference?
Tonight, as we sit in some dark lay-by, listening to the ticking metal of our cooling car, I tell Sam about the field of wildflowers we’ll find near the sea at the end of our journey.
I like to pretend there’s some truth in what I’m saying.
I tell him we’ll lie on our backs among the tall spears of grass and the drunkenly swaying poppies, and the star-bright sun will be so blinding we’ll have to close our eyes to it. And as we lie there, we will be filled with so much fucking peace and happiness that we’ll sing stupid songs at the tops of our voices to the deep turquoise sky.
Sometimes I have to forget Sam doesn’t speak, that I’ve never heard him sing.
I have to forget a lot of things—especially those things it hurts to remember. I have to forget that even if that field of wildflowers exists, we’ll never find it. Time is not on our side.
Every day it grows painfully clear. Stories really are all we have left.
A volte non ci restano altro che le storie.
Ne portiamo così tante nascoste dentro la gabbia dei nostri corpi, scritte come segreti sulla mappa della nostra pelle. La maggior parte di noi ne porta i segni come cicatrici, non come tatuaggi. Siamo feriti che camminano, spaventati da come la nostra storia potrebbe finire.
Alcuni di noi trovano conforto nella fantasia, come se quella verità fosse più semplice da credere della nostra. Ma questa, adesso, non è una fantasia e non riesco più a gestire la verità. Non ce la faccio.
Questa non è la storia che vorrei vivere. Ne vorrei una diversa, una realtà diversa, un’altra vita, che diventi mia.
Ovviamente, non è una cosa che ho detto a Sam.
Quando mai gli ho raccontato la verità?
Quando mai ho saputo riconoscere la differenza?
Questa sera, mentre siamo seduti in un’area di sosta buia ad ascoltare il ticchettio metallico della nostra macchina che si sta raffreddando, racconto a Sam dei fiori di campo che troveremo vicino al mare alla fine del nostro viaggio.
Mi piace fare finta che ci sia un po’ di verità in quello che sto dicendo.
Gli racconto che ci distenderemo di schiena fra gli alti fili di erba e i papaveri che dondolano come tanti ubriachi e il sole sarà talmente luminoso che saremo costretti a chiudere gli occhi. E mentre siamo distesi lì, ci sentiremo pieni di così tanta pace e felicità che ci metteremo a cantare stupidi motivetti verso il cielo blu e turchese con tutto il fiato che abbiamo nei polmoni.
Qualche volta mi dimentico che Sam non parla, che non l’ho mai sentito cantare.
Devo dimenticare tante cose, specie quelle che mi fa male ricordare. Devo dimenticare che, ammesso che quel campo di fiori esista davvero, non lo troveremo mai. Il tempo non è dalla nostra parte.
Ogni giorno diventa sempre più chiaro e doloroso. Le storie sono tutto ciò che ci resta.