The first house Alex looked at had black mould creeping up the bedroom walls. Next was a place with a pump in the cellar because ‘the creek floods in a storm, but it’s nothing to worry about, mate’. Then came a house with a sunlit patio, glaring white, with palm trees in pots. Something about the light and dusty foliage reminded him of Laos and he backed out speechlessly, eventually managing a curt ‘no thanks’ to the bewildered agent.
Next came an apartment outside which a dog barked as tirelessly as a metronome, then a house that smelled of rot. Followed by a 1920s villa next to the local landfill. And then a house with a handsome young man asleep on an old Chesterfield in the sunroom.
Alex paused in the open doorway, briars from the overgrown garden catching in his hair, the roar of sea and wind loud in his ears. A lot of old houses in New Zealand had these sunrooms. They were like glassed-in verandas; bright, warm places. They didn’t usually contain a sleeping beauty.
The sleeper was in his twenties, thin, with tangled dark-brown hair and pale skin. He was gorgeous in an angular, surprising way, with long eyelashes and a wide mouth. He breathed quietly, at peace, cheek pillowed on one hand, giving Alex the intimate sort of view he would get if they woke up together in the morning. If he was bloody lucky, that was.
Sleeping beauty wore a too-big sweater patterned with green and beige snowflakes. He was young enough, and handsome enough, that he was probably wearing it ironically. Some of Alex’s students dressed that way; deliberately dowdy, deliberately geeky, knowing it only made them cuter. Alex’s eyes scanned down. Took in faded black pants that were spattered with—blood?
Alex took a step backwards, heart beating faster, before taking in other colours—pale blue, canary yellow—and realising that blood wouldn’t show up on black anyway. It was paint. A house painter? An artist? If the latter, he probably thought photography was only for selfies and not really art. His feet were bare, but by now Alex knew that didn’t necessarily mean he was a vagrant, as it would have in London, New York, or Toronto. Shoes were often optional in New Zealand, and in a beach settlement like this one, they were probably more optional than ever. There was something about this sleeper, though, that suggested poverty. His bony wrists spoke of meagre dinners, and the soft skin under his eyes had the bruised look of the terminally exhausted. Alex recognised it all too well from the mirror.
Nonetheless, it would have made a fine photograph; the sleeping man, lips parted, vulnerable, a shaft of afternoon sun hovering above him like a visiting god. There was something at once mythic and commonplace about him. He was a modern Endymion, down on his luck, ugly Christmas snowflake sweater and all. Ideally, he’d be naked. The flowery upholstery of the Chesterfield had faded to soft greys, like tumbled clouds. A disintegrating paper lantern hung from the ceiling. The lighting would be tricky, with the sun like that and the subject in shadow.
La prima casa visitata da Alex aveva della muffa nera che si arrampicava sulle pareti della camera da letto. Poi c’era stata la casa con una pompa nello scantinato perché ‘il fiume esonda quando c’è un temporale, ma niente di cui preoccuparsi, amico’. Dopo era stato il turno di quella con la veranda inondata di sole, tutta bianca, e con alberi di palma nei vasi. Qualcosa nella qualità della luce e delle foglie impolverate lo aveva fatto pensare al Laos e Alex era indietreggiato senza dire una parola, riuscendo solo a mormorare un breve ‘no, grazie’ al confuso agente immobiliare.
Ancora dopo era toccato all’appartamento vicino a cui viveva un cane che abbaiava senza sosta come un metronomo, poi una casa che puzzava di vecchio e la villa degli anni ’20 costruita accanto a una discarica. Infine, c’era stata la casa con il giovane attraente addormentato sul vecchio divano Chesterfield nella veranda.
Alex si era fermato sulla soglia, con le foglie dei rovi del giardino incolto impigliate fra i capelli e il ruggito del mare e del vento che gli urlava nelle orecchie. Molte vecchie case neozelandesi avevano quel genere di veranda: tutte in vetro, erano posti caldi e luminosi, anche se di solito non contenevano dei begli addormentati.
Il ragazzo doveva avere circa vent’anni, magro, con i capelli castani scarmigliati e la carnagione pallida. Era bellissimo in un modo angolato e sorprendente, con delle lunghe ciglia e una bocca ben delineata. Respirava serenamente, in pace, con una guancia poggiata su una mano, dando così ad Alex il tipo di immagine intima che avrebbe potuto vedere se si fossero svegliati insieme la mattina. Se fosse stato fortunato, certo.
Il bell’addormentato indossava un maglione troppo grande decorato con dei fiocchi di neve verdi e beige. Era abbastanza giovane, e abbastanza attraente, che probabilmente lo indossava con ironia. Alcuni degli studenti di Alex si vestivano in quel modo; scegliendo apposta vestiti trasandati e da sfigati, sapendo benissimo che li facevano sembrare ancora più carini. Gli occhi di Alex scivolarono lungo il corpo del giovane. Portava un paio di pantaloni neri sbiaditi che erano macchiati di... sangue?
Alex fece un passo indietro, con il cuore che gli batteva velocemente, prima di notare gli altri colori - blu chiaro, giallo canarino - e rendersi conto che il sangue non si sarebbe comunque visto su quella stoffa nera. Era vernice. Forse era un imbianchino? Un artista? Nel secondo caso, di sicuro pensava che la fotografia non fosse vera arte, ma solo un mezzo per farsi dei selfie. Non indossava scarpe, ma Alex ormai aveva imparato che quel dettaglio non ne faceva per forza un senzatetto, come sarebbe invece successo a Londra, New York o Toronto. Le scarpe sembravano essere spesso un optional in Nuova Zelanda e in una località di mare come quella, dovevano esserlo ancora di più. C’era qualcosa in lui, tuttavia, che suggeriva un’idea di povertà. I suoi polsi magri facevano pensare a pasti poco sostanziosi e la pelle sottile al di sotto degli occhi aveva l’aspetto livido di chi è mortalmente esausto. Un tratto che Alex, dopo averlo visto spesso nello specchio, conosceva fin troppo bene.
Nonostante tutto, sarebbe stato un soggetto perfetto per una fotografia; l’uomo addormentato, con le labbra socchiuse, vulnerabile, sfiorato da un raggio di sole che aleggiava su di lui come una divinità in visita. C’era qualcosa di mitico e di ordinario in quel ragazzo. Sembrava un moderno Endimione, caduto in miseria insieme a quel brutto maglione con i fiocchi di neve. In un mondo ideale, avrebbe dovuto essere nudo. Il rivestimento del Chesterfield era sbiadito e i fiori avevano preso un colore grigio chiaro, simile a quello delle nuvole. Dal soffitto pendeva una lampada di carta semi disintegrata. Non sarebbe stato facile catturare la luce giusta, con il sole che entrava dalla finestra e il ragazzo in ombra.